Le strategie di marketing basate sul customer relationship management rivelano tutti i loro limiti, soprattutto in alcune tipologie di mercato e nel one-to-many. Bisogna puntare alla gestione dei cluster di clienti, raggruppati sulla base di comportamenti ed esigenze concrete e reali.
Il data mining e l’analisi scavano per trovare i diamanti grezzi – i cluster; i marketing manager sono i tagliatori dei diamanti, conferiscono valore alla materia prima e la massimizzano.
Dal CRM al… CRM valorizzando al massimo i dati che si hanno a disposizione. No, non è un gioco di parole: la faccenda è terribilmente seria e ha a che fare con il futuro prossimo delle strategie di marketing, realmente data-driven, che ogni azienda dovrebbe considerare di implementare. Soprattutto se agisce nel largo consumo ed è una media company – cioè, ha una strategia fondata sul media organico – o aspira a diventarlo. Senza questo passaggio, il rischio è perdere opportunità e sprecare risorse.
Partiamo con lo sciogliere gli acronimi, perché la sostanza è tutta lì e i più accorti potranno subito rendersi conto che si tratta di una realtà sotto gli occhi di tutti, ma che a quasi nessuno è evidente. CRM, si sa, sta per Customer Relationship Managment ed è il presente per molti, ma quasi il passato remoto per le big company, quelle che dominano e guidano il mercato. CRM sta per Cluster Relationship Management. E da customer a cluster cambia non solo il valore della C di CRM ma il mondo, che nel nostro caso significa il modo di estrarre i dati, analizzarli, interpretarli e fare marketing. E comporta un capovolgimento di prospettiva che è più difficile a dirsi che ad attuarsi: passare dall’approccio top-down della costruzione teorica delle personas, ad uno bottom-up, che dopo la verifica delle ipotesi iniziali elabori strategie di mercato realmente rispondenti alle esigenze dei clienti, attuali o prospect che siano.
Il salto è dalla gestione del cliente, che ha senso solo quando è possibile il one-to-one, alla gestione dei cluster, cioè di gruppi omogenei per comportamenti e necessità. È quel che stanno facendo in Italia i brand del gruppo Lactalis, a partire da Galbani, e Barilla. Roba da colossi? Non è così: il metodo e l’approccio valgono per qualsiasi piccola e media azienda italiana. Al massimo, a cambiare sono la velocità di execution e la quantità di dati da considerare, non la sostanza.
La raccolta dei dati su piattaforme proprietarie
I dati, già, iniziamo da questi, poiché tutto parte da lì: dal modo in cui si raccolgono, si aggiornano, si usano. Scagli la prima pietra chi non raccoglie dati digitali puntualissimi e molto dettagliati, ma spesso mai aggiornati o utilizzati per davvero, custoditi in “silos” separati, che non comunicano tra loro.
Un esempio? Eccolo: è abbastanza comune essere in grado di sapere di avere come clienti, supponiamo, delle donne residenti in una certa area, con figli, che fanno la spesa in un certo tipo di supermercato e di sapere anche quali coupon hanno scaricato e come e se li hanno redenti. Questi elementi, però, restano isolati tra loro e non vanno a costituire un insieme organico di informazioni. Non solo: spesso i dati diventati vecchi non vengono né usati né aggiornati. I database ne custodiscono miliardi che giacciono inutilizzati a invecchiare nei server. Proviamo, invece, a immaginare cosa significa averne di continuamente freschi, ma soprattutto messi in relazione tra loro. In tal caso, abbiamo la possibilità di costruire dei cluster di consumatori-clienti con i quali interagire in maniera efficace, in base alle loro reali tendenze, abitudini e necessità.
Attenzione, però: è necessario avere una propria piattaforma per la raccolta e l’elaborazione dei dati. Una volta poteva bastare acquistarli, oggi no: ogni azienda deve poter costruire i suoi cluster di consumatori in base al proprio mercato, ai propri prodotti e alla propria comunicazione. Inoltre, c’è il rischio non solo di elaborare analisi imprecise, ma anche di condividere con la concorrenza dati essenziali. La proprietà del dato è fondamentale. Non averla comporta non solo di avere dati ottenuti in violazione della legge (il vostro utente consumatore cede i cookie a voi, ma non a terze parti che neanche conosce), ma anche di cedere patrimonio aziendale.
Dalle personas ai cluster: l’approccio bottom-up al marketing
Ma come si fa a costruire un cluster utile, tipo donne con figli del Nord Est che comprano formaggi freschi e vedono ricette di pizza sul web?
Per arrivarci, occorre:
- Raccogliere i dati degli utenti, con cookie ed e-mail, secondo la legge, ovvero rispettando innanzitutto la privacy, presupposto essenziale per avere dei dati realmente utilizzabili
- Tenerli aggiornati e soprattutto in vita, ovvero utilizzarli. Custodire dei dati senza usarli è doppiamente criminale sia in senso commerciale, perché si spreca un’opportunità, sia in senso legale: la norma consente di custodirli coerentemente all’uso che ne si fa
- Analizzarli e incrociali tra loro per sapere quanti clienti che hanno usufruito di un certo contenuto sulle properties digitali di marca sono andati in un supermercato di una certa catena e hanno redento il coupon che gli è stato offerto
- Infine, raggrupparli in cluster coerenti ed omogenei, a patto che siano di numero significativo
A questo punto si possono seguire i propri clienti con azioni, promozioni e informazioni adeguate alle loro attese (non alle nostre), sia on-line che off-line, e correggere il tiro di volta in volta, con una strategia che sia davvero data-driven e non uno slogan. In altri termini, la strategia di marketing performerà o meno in base alla correttezza dell’estrazione delle personas e della loro clusterizzazione.
Detta così, sembra scontato. Invece, la realtà è molto diversa. La raccolta dati non si traduce normalmente in un’analisi e in una strategia coerente ai risultati. Si tende a persistere in ragionamenti top-down, ovvero decidere azioni ritenute utili per rispondere alle esigenze del proprio mercato e necessarie per aumentare le vendite, sulla base di ragionamenti e assunti teorici. Ovvero, si ipotizzano delle personas e si agisce di conseguenza.
Partendo da un’analisi corretta dei dati non si approderà a delle personas (che sono una proiezione teorica desunta, non persone reali, ricordiamolo), ma a comportamenti reali e a customer journey verificabili, che aggregate danno dei cluster sui quali costruire le azioni di marketing efficaci e rispondenti ai bisogni.
Una miniera piena di diamanti: i cluster
C’è un equivoco che bisogna scrollarsi di dosso, però. Oggi agli addetti marketing si chiede di estrarre dati, cioè di fare gli analisti e sulla base delle analisi elaborare delle strategie. È un errore che genera pericolose confusioni: l’esperto di mercato deve avere a disposizione dei dati sui quali ragionare, ma non è un analista.
Al marketing manager competono solo l’individuazione e attuazione di azioni finalizzate a dominare il mercato, ma per compierle deve avere elementi certi sui quali ragionare. Il data mining e la clusterizzazione, in altri termini, attengono ad una fase che precede quella di marketing in senso stretto ed è affidata ad analisti che si servono di software dotati di Intelligenza Artificiale. A voler usare una metafora, il data mining e l’analisi scavano per trovare i diamanti grezzi – i cluster; i marketing manager sono i tagliatori dei diamanti, coloro che cioè conferiscono valore alla materia prima e la massimizzano.
Tutta la teoria delle personas e le attività relative di elaborazione sono da gettare via, allora? Non proprio. L’approccio dall’alto, deduttivo, delle personas serve a costruire ipotesi di lavoro che l’analisi corretta dei dati servirà a verificare e validare, oltre che a suggerirne di nuove da sviluppare. La costruzione delle personas è un momento di partenza fondamentale; l’analisi bottom-up è il rolling delle attività che consente la verifica continua della correttezza delle azioni intraprese e il loro affinamento con sempre maggiore precisione.
Perché passare dal CRM al CRM significa esattamente questo: lavorare sulla concretezza della gestione di cluster omogenei di consumatori, massimizzando gli investimenti. Il resto, sì che sono solo giochi di parole.